Uomo di confine. geniale, carismatico, raffinato, rigoroso. Ma troppo precoce.
Arrivò prima, portò il futuro, ma non lo vide. Come tutti quelli che attraversano nuovi confini salì e scese in un attimo. Con stile, eleganza, perfezione, e sublimazione del dettaglio. L'accessorio era il tutto.
Fu il primo a disegnare il prêt-à-porter italiano, il lusso accessibile, il total look. Rivoluzionò, con eleganza, senza rabbia. Mise insieme nella ricerca taglio e tessuto, quando ancora Milano non era la città fashion. Creò l'anti alta moda. Sprovincializzò, si smarcò dalla volgarità, diede alla sua genialità un tono internazionale. “Il Saint Laurent italiano”, appunto.
Walter Albini cambiò il passo della moda, precedette il successo del Made in Italy, lo creò, ma non fece in tempo a goderne. Fu il pre-Armani. Capace di rileggere il passato e di scrivere il futuro, recuperava abiti d'epoca alle aste e nei mercatini, credeva nel revival colto e ironico.
Sperimentò la metodologia dell'industria, dal capo di maglia allo studio dei filati, dal punto alla produzione. Fu il primo ad alzare il volume della musica nelle sue sfilate, per far cessare le chiacchiere di sottofondo. Grande anche nel gusto personale e nella ricerca inquieta dell'altrove. Tre case: in piazza Borromeo a Milano, a Sidi Bou Said in Tunisia e sul Canal Grande a Venezia, affacciata sul giardino Guggenheim.
Era affascinato dal Déco, dallo chic, dai piaceri della vita, adorava abbronzarsi al sole, il mare, le spiagge del sud dell'India dove andava in vacanza. E poi Greta Garbo, Coco Chanel, Zelda e Scott al Cotton Club. Quell'epoca libera, folle, snob. Per lui erano immortali: il pois, la riga, le robe-chemisier, il pantalone largo, di morbida flanella, l'abito che scivola sul corpo magro, la cloche calata sugli occhi, le scollature sul dorso, le giacche con martingala, i colli piatti, le gonne plissée, le scarpe bicolori, i bermuda, gli stampati cashmere, la gardenia per uomini e donne.
Albini lavora, balla, viaggia. Con il suo profumo preferito di tuberose sempre addosso. Gentile e affascinante: a Capri con una gonna bianca alla maniera (futura) di Jean Paul Gaultier o in Tunisia con un ciuffo di gelsomini dietro l'orecchio. Preferisce lavorare di notte, ama i cani, tiene sempre una scimmietta di plastica appesa alla lampada.
Eccentrico e decadente come Cecil Beaton, scrivono. Dotato di un fortissimo gusto estetico. Incontra una già vecchia Coco Chanel a Parigi, suo mito per l'eleganza fatale, e se ne innamora. Non a caso rileva dalla sarta Noberasco le annate complete di “Vogue”, “Harper's Bazaar” e “Le Jardin des Modes” dal '18 al '44, l'epoca più creativa, per lui. Geniale, raffinato, rigoroso, superstizioso, con la passione dell'astrologia (era Pesci), fragile nel suo bisogno di essere molto amato, ma perfetto nei suoi disegni. Marisa Curti, collezionista dei suoi abiti per passione, ricorda: "Era carismatico, attraente, gioioso, e anche complesso. Disegnava tutto, dalle stoffe al bottone, faceva ricerca estrema, era instancabile, creava schizzi ovunque, in treno, in auto, sui bloc-notes".
La sua rivoluzione è stata quella di creare abiti importanti, non più in numero limitato, a costi minori e accessibili a tutti.
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